LA COSMOLOGIA SACRA NELLA TRADIZIONE CRISTIANA
di Vincent Rossi
Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo? Dov’è la saggezza che
abbiamo perduto sapendo? Dov’è il sapere che abbiamo perduto nell’informazione?
Queste tre acute domande, vergate da T. S. Eliot più di
mezzo secolo fa, ci indicano direttamente il problema della visione cristiana
della Creazione mentre affrontiamo il nuovo millennio. La coscienza
cristiana ha perduto la sua antica saggezza e ha bisogno di riscoprirla, come
parte essenziale e indispensabile della sua vita.
Il recupero della cosmologia cristiana
Molti oggi domandano che la religione moderna, e particolarmente il cristianesimo,
torni a inserirsi nel cosmo, affinché la religione possa diventare
una autentica forza capace di procurare l’energia etica e spirituale necessaria
per l’arduo compito di invertire l’attuale tendenza alla degradazione della
Terra. Un’analisi delle radici della tradizione cristiana profonda mostra
che la sensazione di essere “inseriti” nella Creazione era una parte molto
concreta dell’esperienza complessiva della religione. La Chiesa primitiva,
specialmente nella sua parte greca o orientale-ortodossa, ma anche in Occidente,
ha trasmesso una fede completamente “cosmica”.
I grandi santi e sapienti della Chiesa primitiva, nei loro scritti, riconoscono
implicitamente una fondamentale verità, che troviamo espressa anche in
G. K. Chesterton: “La religione non consiste nell’andare in chiesa, ma nel
sentirsi parte del cosmo”. Chesterton ha anche argutamente osservato che
“L’ideale cristiano non è stato messo alla prova e trovato carente; è stato
trovato difficile e si è preferito non sperimentarlo”.Il senso di questa osservazione riguarda tanto il ruolo del cristianesimo nel ricollegare il cristiano
alla Creazione, quanto le più individualistiche preoccupazioni relative alla
salvezza dell’anima. Infatti, assunta nel suo significato più pieno, la dimensione
cosmica, così caratteristica del cristianesimo orientale, implica che la
salvezza dell’anima del cristiano è direttamente collegata al modo con cui lui o lei obbedisce alla Creazione. Lungi dall’essere “antropocentrica”, la
tradizione cristiano-ortodossa, in tutti i suoi duemila anni di storia, presenta
una visione del mondo “teoantropocosmica”.
Il divorzio della religione dal cosmo
Se questa visione del mondo incentrata su Dio, l’Uomo e il Cosmo è stata
così centrale nella Chiesa primitiva, come mai l’abbiamo persa di vista?
Anche se lo scopo di quest’articolo non è raccontare come la religione occidentale
ha divorziato dal cosmo, non possiamo evitare di parlarne, sia pure
brevemente. Secondo Philip Sherrard, la radice della crisi ecologica è, in definitiva, teologica. Più specificamente, è una interpretazione teologica del rapporto tra Dio e la Creazione che separa l’ordine creato dalla realtà divina in modotale da rimuovere dalla Creazione ogni valore spirituale e lasciare solo processi materiali e “risorse” da sfruttare.
La via verso il recupero dell’integrità della Creazione è stata tracciata in
un certo numero di significative dichiarazioni dal Patriarca Ecumenico di
Costantinopoli, di cui un buon esempio è la seguente: “Dobbiamo riconoscere
il fallimento di tutte le ideologie antropocentriche, che hanno creato
negli uomini e nelle donne di questo secolo un vuoto spirituale e una insicurezza
esistenziale, e hanno indotto molti a cercare la salvezza in nuovi
movimenti religiosi e parareligiosi, sette, o attaccamenti quasi idolatrici ai
valori materiali di questo mondo. I pericoli per la sopravvivenza dell’ambiente
naturale sono simili. L’uso negligente e auto-indulgente della creazione
materiale da parte dell’uomo, con l’ausilio del progresso scientifico e
tecnologico, ha già iniziato a causare una irreparabile distruzione dell’ambiente
naturale. La Chiesa Ortodossa, non potendo restare passiva di fronte
a una tale distruzione, invita, attraverso di noi, tutti gli ortodossi a dedicare
il primo settembre di ogni anno, giorno dell’inizio dell’anno ecclesiastico, all’offerta di preghiere e suppliche per la preservazione della creazione di
Dio e l’adozione di un atteggiamento verso la natura che sia coerente con
l’Eucaristia e la tradizione ascetica della Chiesa”.
Quello che voglio suggerire in questo articolo è un modo di recuperare la
perduta dimensione cosmica della religione, mostrando come essa potrebbe
essere ritrovata nella tradizione cristiana. Quella che deve soprattutto essere
recuperata è non soltanto l’intuizione che la religione ha bisogno di essere
inserita nel cosmo, ma anche che il mondo è inserito in Dio. Poiché è questa
perdita che ha inevitabilmente condotto alla separazione della religione dall’ordine naturale. Come dice Philip Sherrard: “C’è una relazione di interdipendenza, interpenetrazione e reciprocità fra Dio, l’Uomo e la Creazione;
ed è la perdita da parte della coscienza cristiana della consapevolezza del
pieno significato di questa relazione a costituire la causa fondamentale dell’odierna crisi ecologica. Corrispondentemente, se la Chiesa cristiana deve
offrire una risposta positiva alla sfida di questa crisi, può essere soltanto
attraverso la riaffermazione del pieno significato di questa relazione”.
Il divorzio dell’uomo dalla natura
Se la radice di questa alienazione della natura umana dall’ordine naturale è
teologica, il suo tragico frutto è profondamente penetrato in tutti gli aspetti
della società moderna – politico, economico, sociale, culturale e individuale.
Ma è estremamente difficile non considerare anche attività positive
in termini che restano separati, alienati e astratti. Con il termine “ambiente”
intendiamo normalmente “il mondo naturale” o, per usare il linguaggio
religioso, la “Creazione”. Ma se guardiamo criticamente alla parola “ambiente”,
percepiremo in essa una certa qualità astratta. Essa separa la natura
umana dalla natura non-umana, e trasforma la natura non-umana in
un’astrazione – qualcosa che crediamo di poter manipolare e controllare
per i nostri scopi. Anche con le migliori intenzioni, abbiamo creato e sosteniamo una divisione tra il mondo naturale e noi stessi – una divisione che è l’autentica
radice di tutti i problemi ambientali. Come scrive il poeta, saggista e
agricoltore Wendell Berry: “L’astrazione, naturalmente, è sbagliata. Il male
dell’economia industriale (capitalista o comunista) è l’astrattezza inerente
alle sue procedure – la sua incapacità di distinguere un posto, una persona
o una creatura da un’altra. La giusta scala nel lavoro rafforza l’affezione.
Quando il lavoro si spinge oltre il limite dell’amore che si ha per il luogo
in cui si lavora e per le creature con e tra le quali si lavora, allora ne deriva
inevitabilmente la distruzione. Una adeguata cultura locale, tra le altre cose,
mantiene il lavoro entro il limite dell’amore.
Il problema che abbiamo davanti è dunque estremamente difficile: come
cominciare a ricostruire […] Cosa preserverà la nostra parte di mondo mentre
lo usiamo? Non parliamo solo di un genere di conoscenza che implica
l’affezione, ma anche di un genere di conoscenza che viene dalla o con l’affezione
– conoscenza […] che non è disponibile per nessuno sotto forma di
‘informazione’”.
L’originaria visione cristiana del mondo
Uno studio delle vite e degli scritti dei grandi maestri spirituali del primo
millennio della Chiesa cristiana – orientale e occidentale – mostrerà che una
cosmologia sacra fu parte integrante della visione del mondo della Chiesa.
La salvezza, o deificazione, come l’antica Chiesa e la Chiesa ortodossa di
oggi chiamano il processo di riconciliazione con Dio, era in prospettiva
tanto cosmica quanto personale. Essa comprendeva non soltanto gli esseri
umani, ma anche ogni altra cosa nell’universo, attraverso la reciproca relazione
del microcosmo umano con il macrocosmo dell’ordine creato.
L’auto-comprensione della Chiesa antica – la comune fede cristiana dei
primi mille anni – mostra una complessa e sottile relazione tra la Chiesa e il cosmo. Poiché la cosmologia sacra della Chiesa primitiva – le cui tracce o
vestigia possono ancora oggi essere trovate nella Chiesa ortodossa – mostrava
non soltanto che la Chiesa era inserita nel cosmo, ma che il cosmo
era inserito nella Chiesa. San Massimo il Confessore descrive l’insegnamento del suo maestro spirituale (al quale si riferisce chiamandolo “il grande anziano”) sulla Chiesa: “A un secondo livello di contemplazione, egli [il grande anziano] parlava della Santa Chiesa di Dio come figura e immagine [ikon] dell’intero cosmo, composto di essenze visibili e invisibili, perché, come esso, contiene unità
e diversità […] in questo modo, l’intero mondo degli esseri prodotto da Dio
nella creazione è diviso in un mondo spirituale ricolmo di essenze intelligibili
e incorporee e questo mondo sensibile e corporeo, dove si intrecciano
ingegnosamente insieme molte forme e nature”.
Nel nuovo ordine inaugurato dall’Incarnazione di Cristo, la Chiesa è
il nuovo cosmo. La Chiesa è il Corpo di Cristo, che è la nuova Creazione.
In quanto tale, la Chiesa è il destino del cosmo. La Chiesa è il cosmo che
diventa se stesso, la sua vera essenza, il suo fine, così come Dio l’ha voluto.
La missione della Chiesa è la missione di Cristo, che è riconciliazione,
unificazione e glorificazione, non soltanto degli esseri umani, ma di ogni
cosa nell’universo.
Ma come può questa conoscenza diventare una effettiva forza per la
protezione della Creazione di Dio? Questa sfida è un modo di chiedere in
che maniera la conoscenza di un’antica tradizione cosmicamente illuminata
dà realmente ai credenti la forza di trasformare il nostro mondo. In breve,
in che modo nella tradizione cristiana l’informazione diventa conoscenza,
saggezza, vita trasfigurata? La risposta a questa sfida risiede nella natura e
nel metodo della pratica spirituale cristiana. L’arte della cura cristiana della
Creazione è un aspetto della via spirituale cristiana.
Logos e creazione
La fondamentale intuizione cosmica della via spirituale cristiana è che la
Creazione è la manifestazione di un ordine che allo stesso tempo la trascende,
la sostiene dall’interno e si manifesta attraverso di essa. Quest’ordine
intrinseco, trascendente, immanente, è il Logos – il Figlio eterno di Dio.
Nella teologia cristiana, il termine “Logos” sposa, tramite la rivelazione del
Vangelo di San Giovanni e le Epistole di Paolo, il suo significato filosofico
greco di un ordine razionale onnicomprensivo, che unisce natura, società,
esseri umani e divinità in un “grande cosmo” con il significato teologico
cristiano di Cristo, Parola (Logos) di Dio nel quale, attraverso il quale e con
il quale “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At. 17, 28). È, di conseguenza,
il supremo principio di regolazione che unisce tutti i livelli dell’essere,
dalla sublimità del Divino alla più profonda densità del regno minerale.
Secondo i tre grandi maestri cristiani della visione cosmologica, Sant’Efrem
il Siro (306-373), Dionigi l’Areopagita (500 circa) e Massimo il Confessore
(580-662), la reciproca compenetrazione del cosmo e della Chiesa è fondata
sulla primordiale compenetrazione di tutta la creazione in Dio.
Sant’Efrem il Siro
Sant’Efrem il Siro era un grande teologo e uno dei più grandi scrittori in
siriaco, come dimostra la seguente citazione tratta da uno dei suoi inni:
“Come l’acqua circonda il pesce ed egli l’avverte,
Così tutta la natura percepisce Dio.
Egli è diffuso nell’aria,
E con il tuo respiro penetra in te.
Si mischia con la luce,
E penetra nel tuo sguardo quando vedi.
Si mischia con il tuo spirito
E ti esamina dall’interno così come sei.
Nella tua anima dimora […]”.
Efrem rappresenta qui Dio come l’acqua e tutte le creature come creature
marine. Proprio come il mare, Dio contiene e trascende le sue creature.
Egli non è soltanto al di sopra di tutte le cose, ma anche in e intorno a tutte
le cose e le contiene. La separazione implicita nella trascendenza divina
non cancella mai l’unità implicita nella immanenza divina.
San Dionigi l’Areopagita
San Dionigi l’Areopagita visse nel tardo quinto secolo o all’inizio del sesto.
Fu un grande filosofo neoplatonico cristiano, genio ascetico e speculativo.
Dionigi completa il quadro o immagine del mondo della tradizionale cosmologia
cristiana. Il suo più importante contributo è indubbiamente il suo concetto di gerarchia nel cosmo. Dionigi è, per quanto ne sappiamo, il primo ad aver
usato in letteratura la parola “gerarchia”. Sembra che abbia coniato il termine.
Questo concetto profondamente cristiano-ortodosso è vitale per una
concezione del cosmo che comprenda non soltanto gli esseri e le attività del
mondo visibile, ma anche il mondo “invisibile”; esseri e attività dei mondi
sottili, celestiali o angelici, non suscettibili di misurazione scientifica, ancora
parte dell’ordine della natura creata.
“Una gerarchia è un ordine sacro, un grado di comprensione e un’attività
che si accosta il più possibile al divino”. Cosa intende Dionigi con
l’espressione “accostarsi il più possibile al divino”? La spiegazione è nella
sua frase successiva: “È un elevarsi all’imitazione di Dio in proporzione
alla luce divinamente concessaci”.
Secondo Dionigi, dunque, l’ordine, la comprensione e l’attività del cosmo
gerarchicamente ordinato è la santificante bellezza della divina immagine, rivelata contemporaneamente nell’essere, nel conoscere e nell’attività della
gerarchia. Una gerarchia, dunque, contrariamente alla convenzionale nozione
di Chiesa, non è una “catena di comando”, o un diagramma organizzativo
rappresentante un sistema d’autorità imposto dall’alto su una massa
di individui che non fanno parte della struttura dell’autorità. Per Dionigi, il
sacro concetto di gerarchia riguardava non soltanto il mondo degli angeli,
ma il mondo della natura visibile. Per citare il suo trattato sulla Chiesa, il
sacerdozio e i sacramenti, La gerarchia ecclesiastica: “Abbiamo una venerabile
tradizione sacra la quale afferma che ogni gerarchia è l’espressione
completa dei sacri elementi compresi in essa. È la somma perfetta di tutti
i suoi sacri costituenti. La nostra gerarchia abbraccia dunque ognuna delle
sue sacre componenti. Parlare di “gerarca” (prelato) significa riferirsi a una
persona santa e ispirata, uno che comprende la conoscenza sacra, nel quale
un’intera gerarchia è completamente perfezionata e conosciuta”.8
In altri termini, lo stesso ordine creato – l’universo – nella concezione
di Dionigi, è un mezzo dato da Dio di soddisfazione, salvezza e trasfigurazione
per tutte le sue parti costituenti o membri. Questo per dire che gli
esseri umani non possono essere “salvati” senza “salvare” la Creazione.
In termini cristiano-ortodossi, senza la trasfigurazione del cosmo, non c’è
“deificazione” degli esseri umani. Al riguardo, è fondamentale la cruciale
intuizione che lo scopo dell’ordine creato è “di permettere alle creature di
essere il più possibile simili a Dio e di andare d’accordo con Lui”. Nella
comprensione della Chiesa antica, l’universo, lungi dall’essere un’illusione
o una enorme, irrazionale forza materiale, è una rivelazione divina e un
sacro mezzo di salvezza, edificazione e “concordia”.
San Massimo il Confessore
Millequattrocento anni fa, San Massimo il Confessore (580-662) portò il paradigma del “Logos” a nuove altezze, creando una insuperata sintesi che
mostra che ogni cosa è rappresentativa di un semplice e supremo principio,
il principio del Logos, che è alla radice della struttura profonda del cosmo.
Per Massimo, la perenne integrità del paradigma del cosmo era lampante.
Era la Chiesa come “vivente simbolo” cosmico; la dimora di tutti gli
orizzonti e di tutte le prospettive. Il Logos è l’eterno che comprende, spiega
e avvolge ogni cosa. Come dice San Paolo: “In lui infatti viviamo, ci muoviamo
ed esistiamo” (At. 17, 28).
L’essenza di questa nozione, definita da Massimo diakosmesis, è questa:
tutto ciò che sappiamo sull’umanità e sull’universo è reciproco. Questo
significa che il modo con cui vediamo il mondo dipende dal modo con cui
vediamo noi stessi; e, allo stesso modo, il modo con cui vediamo noi stessi
dipende dal modo con cui vediamo il mondo. Il modello che abbiamo dell’universo dipende dal modo con cui concepiamo noi stessi. Questo significa
che viviamo in un universo partecipativo di luce incorporea e corporea
dove l’osservatore e l’osservato sono intrecciati e interattivi.
Questo principio è racchiuso nel primo capitolo della Genesi, dove ci
viene detto che Dio ha fatto l’umanità a Sua immagine e somiglianza, come
microcosmo e mediatore. L’immagine è la perfezione di tutta la natura, e
la nostra natura secondo il progetto di Dio; la somiglianza è la condizione
attuale della nostra natura; la distanza tra l’immagine della natura – il modo
come Dio l’ha fatta – e la somiglianza della natura – quello che noi ne abbiamo
fatto – è la fonte di ogni disordine e disarmonia nel mondo.
Se c’è dissonanza in questa liturgia, essa deriva da un paradigma di pensiero
o azione che conserva l’innaturale disordine e la distanza tra il modo
come le cose realmente sono secondo la divina volontà creatrice; il fine cui
sono destinate (teleologia) e ciò che abbiamo fatto di esse e il fine cui effettivamente le indirizziamo (economia/ecologia). Nel principio della diakosmesis non c’è niente che sia sostituito da uno sviluppo tecnologico del
presente, compresi i computers e la “rivoluzione informatica” che richiederebbero un accanito sforzo per trovare o proclamare un nuovo paradigma.
San Massimo. La liturgizzazione del mondo
Passiamo ora a considerare le funzioni cosmologiche ed ecologiche della
liturgia: l’atto di liturgizzazione del mondo. La parola liturgia proviene dal
greco leit-ourgos, che significa letteralmente “opera del popolo”. La Chiesa
bizantina del tempo di San Massimo riconosceva la liturgia come il topos,
o luogo, del legame diretto tra il sapere umano e l’azione etica, con il benessere
del cosmo e la trasparenza metafisica delle cose. L’intuizione che il
cosmo è una grande liturgia è una rivelazione della dimensione cosmologica
nella liturgia della Chiesa.
Questa theoria (contemplazione), frutto di naturale contemplazione (o
phusiki nella terminologia di Massimiano) porta San Massimo il Confessore
a interpretare la Divina Liturgia della Chiesa bizantina come cosmologia
sacra in azione. Possiamo chiaramente vedere questa concezione
pienamente espressa nel commento di San Massimo sulla Divina Liturgia,
la Mistagogia, che inizia con una sezione in cui egli presenta la sua immagine
dell’universo come simbolo vivente in cui Dio, la Chiesa, il cosmo,
la Sacra Scrittura e l’umanità sono presentati come icone – o simboli
reciproci – l’uno dell’altro. Egli interpreta dunque le azioni del rito della
sinassi (o santa comunione) nei termini non soltanto della vita di Cristo, ma
più specificamente in relazione allo scopo della Creazione, e soprattutto,
conformemente alla trasformazione etica, ascetica, contemplativa e mistica
dell’anima umana. La terza sezione è una contemplazione che unisce l’immagine umana, l’immagine del cosmo e l’immagine divina in e attraverso il Sacrificio Primordiale del Logos. Poiché l’immagine umana e l’immagine cosmica sono reciproche nel pensiero del maestro spirituale bizantino, l’interiore costituzione
e condizione dell’anima umana o microcosmo avrà un effetto diretto
sulla condizione esteriore e sull’ordine dell’universo o macrocosmo.
Chiaramente, per San Massimo la liturgia è la realizzazione dell’autentico
essere nella conoscenza e nella virtù; essa conduce alla “conoscenza”,
ovvero all’identità di conoscitore e conosciuto nell’esperienza della verità.
Questo, in cambio, conduce all’“amore”, ovvero all’armonia nell’Uomo tra
l’essere, il conoscere e il fare e alla pace (esichia), ovvero al compimento
del destino dell’Uomo, nel quale la sua deificazione o salvezza e la trasfigurazione
della natura sono la stessa esperienza.
Per San Massimo il Confessore, l’autentica liturgia è cosmologia sacra
in azione. Il campo d’azione è la persona umana come microcosmo, reciprocamente unito al macrocosmo, all’universo nel suo insieme.
Anche il cosmo nel suo insieme non è visto come l’universo spiritualmente
vuoto degli astrofisici e degli evoluzionisti, ma l’universo è compreso
liturgicamente e reciprocamente come Uomo Cosmico. “Il mondo
intero, fatto di cose visibili e invisibili, è Uomo, e viceversa […] l’Uomo,
fatto di corpo e anima, è un mondo”.
L’azione della liturgia è duplice: prima di tutto, la ricostituzione dello
spazio e del tempo ordinario nello spazio e nel tempo liturgico, in cui sono
manifeste le valenze dell’eternità, come “l’infinito in un granello di sabbia
e l’eternità in un’ora” di Blake. In secondo luogo, la trasfigurazione della
natura umana con l’unione di mente, cuore, volontà, anima e corpo nella
totalità che risulta in una persona le cui facoltà sono stimolate e orientate
verso la verità, la bontà e la bellezza nell’io, nel prossimo e nella Terra. Ma
questo può provenire solo da una persona capace di sentire genuinamente
l’oltraggio della distruzione dell’ambiente in corso.
Illuminata e autorizzata dalla liturgia, dall’autentica opera dell’umanità
nel mondo, una tale persona è di conseguenza capace anche di rispondere
con efficacia etica e pratica per favorire il necessario sacrificio che porterà guarigione e armonia nella persona e nel cosmo.
La liturgia, nel suo significato autenticamente ortodosso, è la trasfigurazione
della natura (non solo della natura umana, ma di tutta la natura)
attraverso il vivente simbolismo dell’atto sacramentale, che unisce uomo
e donna, questo mondo presente e il paradiso, terra e cielo, le dimensioni
sensibili e intelligibili della creazione nella sua totalità e, in definitiva, la
Creazione e l’Increato.
Nella concezione di San Massimo, che è la visione dell’antico cristianesimo
tradizionale, la liturgia è l’opera divinamente ordinata del popolo in
cui l’essenza della religione e della scienza è pienamente inserita nel cosmo
perché il cosmo è pienamente inserito in Dio. Attraverso tale liturgia, l’universo
come macrocosmo e il singolo essere umano come microcosmo sono
trasformati, trasfigurati e deificati. Questa trasfigurazione e deificazione è
il destino finale sia del cosmo che dell’uomo. La liturgia, come cosmologia
sacra in azione, è capace di fare questo a causa della sua essenza: la
comunicazione di e la comunione con il Sacrificio Archetipico, l’autentica
fondazione dell’universo.
Il cuore della liturgia è il sacrificio, e lo scopo del sacrificio è quello di
rendere santi. La liturgia era concepita come l’opera primaria del popolo e
il campo di questa attività non era semplicemente l’orizzonte dell’anima
individuale, ma il mondo intero. La Chiesa era inserita nel cosmo, il cosmo
nella Chiesa. La missione della Chiesa, attraverso lo Spirito Santo, consisteva
nel determinare la reciproca trasfigurazione del cosmo e di se stessa
quale Nuova Creazione. La responsabilità del popolo sulla Terra era ed è di
liturgizzare il mondo, e in questo modo di sanare le divisioni in un’ecologia
di luce trasfigurante. Chiaramente, la restaurazione della cosmologia sacra nel cuore dell’insegnamento cristiano è l’unico e più forte passo in un efficace sforzo cristiano per rovesciare la profanazione del cosmo nel prossimo millennio.