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il nuovo numero dell'Ecologist

DELL'UTILITÁ E DEL DANNO DEI CORSI HACCP PPER L'IGIENE

di Giorgio Ferigo

1. Vengo da una minuscola USL della montagna del Friuli (80.000 abitanti).
Siamo collocati tra Slovenia e Austria, proprio lassù a nord-est, nell’angolino
estremo.
Abbiamo poche industrie; e pochissime industrie alimentari (nel senso
proprio di «industria»: un prosciuttificio e uno stabilimento di imbottigliamento
di acqua minerale). Per il resto, soltanto piccolissimi laboratori.
Abbiamo mal accolto la 155/97. Come certamente tutti voi sapete, il
sistema HACCP è stato messo a punto negli anni Sessanta dalla società
Pillsbury per preparare gli alimenti destinati agli astronauti del progetto di
volo Mercury. È stato poi perfezionato per il programma Gemini, e completato
nel quadro del progetto Apollo. Progettato per mandare l’uomo
nello spazio, adottata dalla grande industria alimentare, è stata infine catapultata
anche nei Cral, nelle malghe e nelle osterie di paese.
Applicare leggi uguali a sistemi diseguali significa aumentare le diseguaglianze;
pretendere che il piccolissimo si adegui al grande significa programmarne
il fallimento o la scomparsa; si tratta, in buona sostanza, di una
forma di stupidità, o di crimine, prima ancora che di una forma di ingiustizia.
Inoltre, in Italia sono state prese tardi e male quelle precauzioni che in
Francia, ad esempio, sono state adottate a salvaguardia delle lavorazioni
tradizionali e a garanzia delle aziende piccole.
Peggio, è nostra impressione che la 155 tenda a tutelare non tanto la
salubrità degli alimenti quanto il potere burocratico nei confronti di chi li
produce; finora, si è tradotta certamente in aumento della quantità di carta,
non in aumento della pulizia; in aumento dei vincoli, non della bontà
del prodotto – che in realtà proprio adottando questi metodi tende a omologarsi,
a livellarsi, a scomparire.
Infine: la 155 ha indubbiamente introdotto un concetto di «igiene» e
di sicurezza più adeguato e dinamico rispetto alle vecchie leggi, la 283/62,
la 327/80; tuttavia le vecchie leggi sugli alimenti sono rimaste in vigore,
collidendo con le nuove, e aumentando così a dismisura le complicazioni
burocratiche sulle spalle della gente. Ciò è stato messo in evidenza anche
dall’apposita commissione europea che ha visitato l’Italia nel febbraio
2004: «There were conflicts in one region visited regarding older existing national legislation on food hygiene... The competent authorities should resolve
the apparent conflicts between older existing national legislation on hygiene
of foodstuffs and legislative Decree No. 155...» (DG (SANCO)
/7059/2004–MR final).

2. Perciò nella nostra USL, fin dall’inizio dell’applicazione del Decreto
155, abbiamo tenuto un profilo molto basso.
Non abbiamo organizzato corsi di formazione e abbiamo partecipato
malvolentieri ai corsi a cui ci invitavano. Abbiamo in compenso organizzato
qualche evento di «contro-informazione» – con l’intervento di politici
se non autorevoli almeno «navigati» – che ha portato poi all’emanazione
di norme semplificative. Abbiamo tentato di smorzare l’enfasi (interessata)
sulla terribile pericolosità connessa alla preparazione degli alimenti.
Abbiamo distribuito, a chi ce lo chiedeva, uno schemino di estrema semplicità
affinché il singolo addetto potesse stilare da solo il suo «piano di autocontrollo
». Abbiamo raccomandato di compilarlo in prima persona, su
un quaderno a righe «di quarta», senza alcuna formalità. Non abbiamo
preteso e anzi abbiamo sconsigliato l’esecuzione dei «tamponi» sui piani
di lavoro o sull’opificio. Abbiamo addirittura proibito l’utilizzo di tutti
quei disinfettanti che oggidì sembrano obbligati in un bar o in una rosticceria,
quasi fossero sale operatorie da mantenere sterili. Abbiamo raccomandato
di applicare alla lettera tutti gli «ove opportuno» e gli «ove
necessario» dell’allegato.
Abbiamo insomma adottato con molta convinzione i criteri che la circolare
11 del 1998, tardiva ma benvenuta, dell’allora Ministro della Sanità,
la davvero indimenticabile Rosy Bindi, stabiliva per l’applicazione
dell’Haccp: «il sistema deve essere semplice, limitato all’essenziale e compatibile
con le dimensioni dell’azienda».
Tuttavia, la componente burocratica è risultata ineliminabile. «Il sistema
deve essere basato sulla dimostrabilità, mediante descrizione e documentazione:
del processo/prodotto e delle relative specifiche tecniche, dell’operatività,
delle verifiche aziendali e ufficiali del sistema applicato».

3. Abbiamo svolto, nel corso del 2004, una piccola indagine, volta a
documentare come la partecipazione ad un «corso di formazione per l’applicazione dell’Haccp» avesse cambiato le conoscenze e modificato i comportamenti
degli addetti. Premetto subito che l’indagine è tutt’altro che un
lavoro scientifico. Il campione da intervistare non è stato scelto con i dovuti
criteri random bensì con i criteri della facilità, disponibilità, raggiungibilità;
e i pre-giudizi di chi vi parla – e che ho appena detto – condizionano
fortemente la lettura delle risposte...